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C’è sempre bisogno di vedere le cose da un’ottica diversa, da un’angolazione differente che ci sconvolga, magari nuovamente, e che ci faccia vivere un’emozione differente, nuova. Se si vuole guardare, rinnovandola e guardandola in chiave nuova, la “posteggia” napoletana, che comunque è il principio della nostra cultura drammaturgica e musicale, allora i Posteggiatori Tristi, sono quel che serve.
I Posteggiatori Tristi – e già il nome è in sé una contraddizione e un programma – sono un gruppo di musicisti e attori nato dall’incontro da Pietro Botte, in arte Karamazov e Davide d’Alò, in arte M° Severo Lapezza. Il gruppo, unendo musica e recitazione, riprende in chiave comica, ironica e a tratti dissacrante la tipica espressione della canzone napoletana: la “posteggia” a cui alludevamo prima.
Il progetto nasce da un’esperienza maturata spiando, osservando, “rubando” i gesti, gli sguardi, i movimenti di coloro che, per strada, nelle trattorie e nelle pizzerie praticavano questo particolare tipo di arte musicale.
Il gruppo musical-teatrale dei Posteggiatori Tristi, composto da più di 20 artisti (musicisti, attori, parolieri e registi che si alternano a seconda delle esigenze) ha fatto propria questo tipo di tradizione ed esperienza, rinnovando quello che è lo spettacolo classico napoletano, spesso melodrammatico, rendendolo comico, sincero, naturale e ironico. Il teatro d’avanspettacolo, gli elementi clowneschi, la forza delle parole, delle smorfie, delle cadute dipingono in modo preciso, magari estremizzandolo un po’ (anche se a Napoli è difficile delineare il limite tra l’estremismo e la normalità), e disarmante, quegli aspetti della vita a cui non sempre si fa caso. La “pesantezza” non adatta ai più, del teatro classico, si alleggerisce grazie all’incursione di altre arre artistiche-musicali al suo interno. Dal tango alla musica classica, dallo swing alla canzone comica straniera, senza escludere le composizioni originali del gruppo, tutto fa brodo nello show, tutto serve a far rivivere la naturalezza della realtà fatta di milioni, miliardi, di piccole sfumature diverse che ora fanno sorridere, ora fanno piangere, ma che sempre scuotono l’animo. In fondo, non è questo ciò che deve fare il teatro?
C’è abilità, bravura, in questo misto di esperienze artistiche che s’incontrano a metà strada per creare, ribaltare, rovesciare la tradizione e far del sorriso ( e anche del pianto) il protagonista dello spettacolo. C’è passione, perché ce ne vuole davvero per riprende una forma di “spettacolo” così “all’antica” e rimodernarla.
Ci vuole amore. Ci vuole forza. Ci vuole chi, col cuore triste ma allo stesso tempo colmo di speranza, vuole “posteggiare” lo spettatore e farlo ancora una volta innamorare.
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