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Il gruppo acustico, collaudato e trascinante, è composto da tre tra i maggiori esponenti del blues napoletano: Tommy “Daddy” Brown (voce e chitarra), Guido Migliaro (chitarra, voce e armonica) e Max “Muddy” Furio (armonica). Il gruppo ricerca e ripropone il blues più tradizionale con un viaggio che parte dal delta del Mississipi ed arriva a Chicago senza tralasciare niente. Una musica, quella dei “Cotton Fields”, che sfida chiunque a restare fermo.
Qual è la storia dei The Cotton Fields?
«Il nostro gruppo nasce dal bisogno che avevamo di sperimentare formule sempre nuove, non potendo fare a meno di suonare. Ci conosciamo da quindici anni ma da cinque ci siamo uniti artisticamente in questo gruppo. Ci definiamo tre giovani malati di musica e il trio è la tipica forma del blues rustico. “The Cotton Fields” significa letteralmente campi di cotone ed è proprio lì, fra i lavoratori neri, che ha le sue radici un certo tipo di musica, quella che amiamo».
Come avete conosciuto il Be Quiet e cosa pensate del collettivo?
«Lo abbiamo conosciuto grazie a Giovanni Block, un cantautore che stimiamo da sempre. Il Be Quiet è un progetto molto interessante il cui punto di forza è la qualità dei professionisti che ne fanno parte. Negli spettacoli il pubblico si sente coinvolto, quasi al centro della scena».
Questa realtà cosa rappresenta per Napoli?
«Quello che mancava: un punto di riferimento qualitativamente forte e allo stesso tempo innovativo. È fondamentale soprattutto per chi sceglie di non lasciare questa città».
Il 21 marzo debutterete al Piccolo Bellini…
«Calcheremo per la prima volta questo palcoscenico. Faremo uno spettacolo acustico, quindi, faticoso ma ci piacerebbe poter eseguire tanti brani quanti ne vuole il pubblico».
Vi identificate solo nel blues?
«Principalmente. Interpretiamo classici della tradizione, la cosiddetta musica popolare che non diventa mai vecchia perché è immortale. In cantiere abbiamo, però, il progetto di comporre. Solo così con un bagaglio proprio ci si sente del tutto musicisti».
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