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E’ il turno di Giovanni Block, ci sarà anche lui martedì 5 gennaio sul palco del Be Quiet.
Continua a tornarmi in mente un breve tema che deve aver scritto nel ’94 o giù di li, in cui raccontava di aver sognato di stare con la sua famiglia, gli amici e i suoi giochi a “fare cuccia”, tutti insieme. Fa sorridere, lo so.
Ma ieri ho incontrato Giovanni e mi parlava del Be Quiet con lo stesso spirito, ed io ho pensato: ”Sto parlando con quello stesso bambino che vent’anni dopo continua a sognare (e questo già mi pare prezioso) di mettere insieme i pezzi, di prendere quanto di più bello ha (i giochi, la musica..) e di condividerlo, per riempirlo di contenuti, di significato ed amplificarne il valore.
Giovanni parla del Be Quiet con quel sorriso spontaneo e disarmante, con lo sguardo determinato e divertito che hanno i bambini quando giocano a fare la guerra. Sono passati ormai quattro anni da quando ha iniziato quest’avventura con Vincenzo Rossi e Giuseppe Di Taranto, dando vita al Be Quiet. Quattro anni di palchi, di musica e aggregazione, di collaborazioni, di difficoltà ma, in definitiva, di continue conferme del fatto di essere sulla strada giusta. Un progetto che cresce e una città che mostra un volto artistico e musicale nuovo, il Be Quiet è approdato al Teatro Bellini, e ogni domenica è su radio CRC a raccontare e cantare le sue storie. Intanto, sempre un po’ irriverente e pronto a sfidare la diffidenza altrui,
Giovanni lavora al suo nuovo disco, per la prima volta presenterà un intero lavoro in lingua napoletana. Mesi fa, senza neanche sapere che poi mi sarei trovata a scriverne, ho ascoltato alcuni dei pezzi del nuovo disco e me ne sono innamorata; sono emozioni già nate in napoletano, per cui la lingua non è una forma di restituzione ma di concepimento. Forse questa volta più che una scelta è stata un’esigenza la sua, la necessità di restituire qualcosa alla sua città, di renderla parte di quel conflitto interiore che essa stessa genera, distruggendo e creando, e dando sempre tantissimo di sé, nel bene e nel male.
Ho scelto di non raccontare nulla sulla biografia e sul percorso artistico e musicale di Giovanni, il premio Tenco è solo uno dei traguardi di un artista che pure se giovane ha avuto diversi riconoscimenti e che continua a muoversi tra il suo personale universo musicale e quello organizzativo e di coordinamento di realtà musicali a lui affini (parlo del Be Quiet ma anche del festival per Ugo Calise, di cui ha curato la direzione artistica nel 2015).
Voglio, invece, chiudere con un aneddoto che riguarda me e Giovanni, e il nostro incontro di ieri.
Eravamo in una caffetteria, seduti già da un po’. Al nostro secondo caffè Giovanni mi ha raccontato di un giorno di maestrale in cui era sceso in spiaggia, a Procida, per prendere una barchetta e andare in mare, e di come un pescatore lo aveva fermato dicendogli di non andare, perché col maestrale il mare vuole i forti.
Ho ripensato a questa scena per un po’ anche dopo aver salutato Giovanni, mi è venuto in mente di aver letto che secondo alcune leggende il mare è la dimora di tutto ciò che abbiamo perduto o inutilmente desiderato. Ho immaginato Giovanni e la sua barca affrontare questo mare, coraggioso e determinato, e anche spinto dalla convinzione che sia l’unico modo per mettersi in salvo.
Ho visto un artista giovanissimo intraprendere la sua strada senza guardarsi indietro, sfidando il mare e le intemperie, affondando i remi in quei desideri perduti, e l’ho visto resistere, spinto dall’esigenza di non poter essere in nessun altro posto che lì, per propria natura.
L’ho visto forte, altroché, e ho pensato che il pescatore si era sbagliato a metterlo in guardia e che non sapeva quanta forza celasse, quanta temerarietà nelle sue braccia e nel suo cuore.
(Paola Varricchio)
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